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Apprendimento Permanente

lifelong learning e lifewide learning al CPIA

Descrizione

A partire dal nuovo millennio le politiche europee per l’istruzione e la formazione sono contrassegnate da nuovi principi teorici che spostano l’interesse dall’insegnamento all’apprendimento e mettono quindi al centro dell’attenzione l’individuo che apprende, enfatizzandone il ruolo attivo e responsabile.
In questa prospettiva si pone anche l’idea che l’apprendimento non sia più limitato solo ad un periodo ristretto della vita di un individuo (l’età della scuola e dell’istruzione), ma si compia nel corso di tutta la sua esistenza (apprendimento lungo l’arco della vita – lifelong learning) e in sedi e con modalità che non sono più solo quelle formali (la scuola, l’università etc), ma si estenda a quelle non formali e informali (apprendimento nei diversi contesti della vita – lifewide learning).

Anche il passaggio dalla conoscenza alla competenza, da un sapere approfondito, ma prevalentemente mnemonico e disciplinare ad un apprendimento costruito in modo personalizzato multidisciplinare, focalizzato sull’imparare a imparare.
La competenza, intesa come “comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, un insieme strutturato di conoscenze, e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale o informale” vuol essere la modalità comune di descrizione dei risultati dell’apprendimento, in questa prospettiva il riconoscimento, la valutazione, la certificazione delle competenze diventano elementi di valorizzazione degli apprendimenti comunque acquisiti.

In Italia, la recente riforma del mercato del lavoro (legge n. 92/2012) e il conseguente Accordo Stato-Regioni, hanno visto per la prima volta il recepimento degli orientamenti europei.
Un passo avanti significativo per la definizione nel nostro Paese di una strategia per l’apprendimento permanente è dato dalla parte finale della legge 92/2012 (art.4, commi 51-68) dove, per la prima volta, si pongono le premesse per mettere a sistema politiche per l’apprendimento permanente, a partire da alcune concrete priorità, articolate tramite intesa in sede di Conferenza unificata.
La legge fa proprie le definizioni adottate a livello europeo, precisando che “per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale”. Vengono poi adottate le definizioni di apprendimento formale, non formale e informale.

Ma la vera portata politica della legge è il capovolgimento della prospettiva della centralità dei servizi a favore della centralità della persona: l’apprendimento permanente vi è prospettato come diritto di ogni persona, in ogni fase della vita e nell’ambito di un sistema condiviso e territorialmente integrato dei servizi di istruzione, formazione e lavoro. Ciò implica l’esigibilità di tale diritto, e prefigura quindi la necessità di pensare a percorsi di “presa in carico” in cui il cittadino possa accedere a servizi che lo orientano, lo accompagnano nell’esplicitazione dei bisogni formativi, gli presentano le offerte del territorio in termini di percorsi di apprendimento, di inserimento lavorativo o avvio al lavoro autonomo, ne valuta le competenze acquisite in qualsiasi contesto di apprendimento e le rende spendibili.

Il decreto legislativo 13/2013, entrato in vigore il 2 marzo 2013 in attuazione della legge 92/2012, ribadisce, nell’ordinamento italiano, il diritto all’apprendimento permanente:
“ART. 1 La Repubblica, nell’ambito delle politiche pubbliche di istruzione, formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e del welfare, promuove l’apprendimento permanente quale diritto della persona e assicura a tutti pari opportunità di riconoscimento e valorizzazione delle competenze comunque acquisite in accordo con le attitudini e le scelte individuali e in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.”

CPIA come soggetto di riferimento per le reti

La LEGGE 28 giugno 2012 , n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) definisce l’apprendimento permanente come “qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale”.
Le Reti territoriali rappresentano lo strumento per garantire la valorizzazione e l’integrazione di tutti i soggetti che operano nell’ambito dell’apprendimento permanente.

Si precisa che le Reti territoriali comprendono l’insieme dei servizi pubblici e privati di istruzione, formazione e lavoro attivi sul territorio, nonché dei Poli tecnico professionali, e che alla loro realizzazione concorrono anche:
a) le Università;
b) idonei servizi di orientamento e consulenza, a sostegno della mobilità delle persone e dello sviluppo sociale ed economico;
c) le imprese, attraverso rappresentanze datoriali e sindacali;
d) le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
e) l’Osservatorio sulla migrazione interna nell’ambito del territorio nazionale istituito con decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali 11 dicembre 2009;
f) le strutture territoriali degli enti pubblici di ricerca.

Ciascuna Regione dovrà adottare un modello organizzativo delle reti territoriali “secondo le proprie scelte e peculiarità, nel rispetto dei principi generali, anche mediante il confronto con i soggetti istituzionali, economico sociali e associativi”.

Il decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 29 ottobre 2012 ha definito il ruolo strategico dei CPIA nella costruzione del sistema integrato per l’apprendimento permanente riconoscendo il ruolo riferimento istituzionale stabile, strutturato e diffuso per coordinare e realizzare – per quanto di competenza – azioni di accoglienza, orientamento e accompagnamento rivolte alla popolazione adulta, e soprattutto ai gruppi svantaggiati, finalizzate, tra l’altro, a fornire un “sostegno alla costruzione dei propri percorsi di apprendimento”, a sostenere il “riconoscimento dei crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti” e a favorire “la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita”. Queste azioni tendono a favorire l’innalzamento dei livelli di istruzione e/o il consolidamento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, di cui alla Raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006, anche in relazione a quanto previsto dal DM 139/2007.

Tale ruolo è confermato nelle Linee Guida (decreto Miur n° Mef 12 marzo 2015) che individuano il CPIA quale “soggetto pubblico di riferimento per la costituzione delle reti territoriali per l’apprendimento permanente” (Linee guida 3.1.3).

In tale contesto, il CPIA può contribuire, inoltre, alla realizzazione delle “misure prioritarie” delle politiche nazionali per l’apprendimento permanente ed al conseguimento degli “obiettivi specifici” delle reti territoriali. (Riferimenti Intesa del 20 dicembre 2012 punto A.5 e al punto B.4 ).

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